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...se non ci fossero i libri, noi saremmo tutti rozzi e ignoranti, senza alcun ricordo del passato, senza alcun esempio; la stessa urna che accoglie i corpi cancellerebbe anche la memoria degli uomini.
Cardinale Bessarione
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Aby WarburgFra antropolgia e storia dell’arteSaggi, conferenze, frammenti L'antologia essenziale del grande studioso tedesco. A leggere la vastissima bibliografia critica – e spesso agiografica – su Aby Warburg, si ha l’impressione che la sua opera, edita e inedita, cosí spesso citata, ricordata e utilizzata. sia tuttora avvolta da una luce crepuscolare, da quella che Nietzsche avrebbe chiamato «una notte di alberi scuri». L’intento di questa silloge, che raccoglie saggi, frammenti, conferenze, è delineare un orizzonte piú nitido della sua ricerca, spesso cosí frammentaria, muovendo dagli interrogativi fondamentali che l’autore si è posto, e dalle funzioni che egli ha di volta in volta assegnato ai suoi scritti. È un tentativo – pur sempre parziale – di cogliere il senso e lo sviluppo del suo pensiero attraverso l’esercizio tipico e “violento” dell’interprete e del traduttore, che si fonda su un lavoro storico e filologico, e che si prefigge di contribuire a corrodere immagini scontate o ricorrenti mitologie. Detto altrimenti: si tratta di far emergere quella capacità di vedere in grande che un autore come Warburg richiede e pretende, visto che la sua riflessione è come una ragnatela che egli ha tessuto e tenacemente sviluppato e infittito nel corso della sua intera vita. Una ragnatela che si prefiggeva di indagare le modalità espressive che stanno a fondamento dell’orientamento umano e che sono oggettivate nei linguaggi, nei simboli, nei segni e nelle immagini. Perciò Warburg si era proposto di ampliare e amplificare la vita psicologica dell’uomo attraverso quel metodo che ha definito come psicostorico. Ma forse è destino dei grandi pensieri non comprendere fino in fondo se stessi. E Warburg è andato appunto spesso ben oltre le intenzioni che si era prefisso. Ciò spiega – almeno in parte – perché la sua opera sia stata modificata da tutti i presenti che si sono accavallati, e che non hanno esitato a interpretare e a disancorare il suo lascito dal contesto in cui era maturato. Certo è che senza decodificare il suo particolarissimo linguaggio è arduo cogliere come la sua produzione scritta e la sua attività volta a fondare la celebre Biblioteca siano connesse, siano nel loro insieme simili a un macrotesto che deve essere ricostruito e collegato internamente. Per penetrare il senso dei testi warburghiani occorre dunque adeguarsi alla mobilità delle formulazioni, distinguere ciò che è essenziale dal contingente, individuare in divenire la sua opera. dall’Introduzione di Maurizio Ghelardi Tanto il nome di Warburg è sempre più sulla cresta dell’onda, citato nelle più diverse branche di studio, e tanto meno i suoi scritti fondamentali sono disponibili nel mercato editoriale italiano. Dopo il fortunato volume di due anni fa, centrato su saggi inerenti al tema astrologico, questo secondo Millennio vuole riproporre all’attenzione, tutti in una nuova traduzione, i saggi più famosi e importanti di Warburg, con l’aggiunta di alcuni testi meno noti o addirittura inediti ma fondamentali per comprendere il percorso intellettuale dello studioso. Dunque il saggio sugli Hopi, gli scritti su Botticelli e Ghirlandaio, l’introduzione a Menemosyne, la lettura del Déjeuner sur l’herbe di Manet. Ma anche le sue riflessioni su Nietzsche e Burckhardt, i frammenti sui fondamenti antropologici dell’espressione umana, gli appunti sul metodo della scienza della cultura. Il profilo che emerge dall’insieme di questi testi è quello di un Warburg meno storico dell’arte e più filosofo, più studioso dei simboli. Un Warburg che indaga da direzioni diverse i linguaggi dell’uomo, verbali e non verbali, e che sembra insofferente dei limiti del pensiero razionalista nell’interpretazione del mondo. |
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