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Cesare Pavese
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Fiabe Giapponesi
"Che cos'è il Nulla? Un usignolo, un albero di susino", diceva Kawai Hayao, uno dei maggiori studiosi giapponesi di racconti popolari e fantastici. E allora non deve sorprendere che la fiaba in Giappone possa essere letta come un'espressione del Nulla; perché, come scrive Maria Teresa Orsi nella sua introduzione, "la dicotomia esistente fra mondo umano e superumano si annulla in un cerchio che in se racchiude ed elimina le differenze, un cerchio in cui il Nulla è allo stesso tempo Essere". In questa direzione molti racconti, anche quelli esteriormente piu elementari, rasentano i paradossi dell'esperienza zen ed evidenziano un' intrinseca differenza da quelli europei. Una differenza che è culturale e sociale nello stesso tempo. Da una parte infatti le fiabe giapponesi - e in particolare le cosiddette "fiabe di magia" - si configurano spesso come espressione di una condizione statica e immutabile piuttosto che di una situazione dinamica di progresso psicologico-esistenziale. Il racconto tende a seguire un andamento ciclico (e non lineare come avviene in Occidente), dove il motivo della "trasgressione di un divieto" non si traduce necessariamente in una concatenazione di avventure meravigliose e quello della " separazione " non si trova all'inizio della vicenda, ma spesso la conclude. E allora naturale che il punto di arrivo sembri simile a quello di partenza e che solo in alcuni casi possa essere rappresentato dal classico (per noi occidentali) happy end matrimoniale. Dall'altro lato, il particolare rapporto tra uomo e natura, proprio della tradizione buddhista, crea un mondo immaginario non fondato sul riscatto del male ma sull' accettazione di una realtà di cui l'uomo costituisce solo un tassello e non il fulcro: visione sostanzialmente opposta a quella occidentale.
Anche nei personaggi il pensiero orientale impone la sua specificità. Ne costituisce un esempio la figura della yamanba, la "vecchia dei monti", il cui incessante vagare può essere letto come metafora dell'attaccamento alle illusorie realtà di questo mondo, che impedisce di affrancarsi dal ciclo delle rinascite. Ma la yamanba è duplice: cattiva e nel contempo generosa, sincera e falsa. E l'emblema cioè di quella compenetrazione di contrasti in cui bene e male sono due facce della stessa realtà. Questa raccolta ci permette dunque di conoscere un patrimonio di storie per tanti versi simili a quelle della nostra tradizione, ma immerse in un'atmosfera che può risultare strana se non sconcertante a un lettore occidentale. Leggerle significa godere di una straordinaria fascinazione narrativa, con punte di suggestioni metafisiche e surreali, ma anche affrontare un viaggio nell' "altro modo di pensare". Maria Teresa Orsi insegna Lingua e Letteratura giapponese all'Università La Sapienza di Roma. Ha pubblicato articoli dedicati alla letteratura popolare e al fumetto giapponese e ha curato la traduzione e la presentazione al pubblico italiano di testi classici e moderni: fra gli altri, Racconti di pioggia e di luna di Ueda Akinari (Marsilio 1988), Sanshiro di Natsume Soseki (Marsilio 1990), Il figlio delta fortuna di Tsushima Yuko (Giunti 1991), Sotto la foresta di ciliegi in fiore di Sakaguchi Ango (Marsilio 1993, premio della casa editrice Kodansha come miglior traduzione in lingua italiana di un'opera giapponese) e I demoni guerrieri di Ishikawa Jun (Marsilio 1997). Ha curato per Einaudi le Fiabe giapponesi (I millenni, 1998) e La storia di Genji (I millenni, 2012), e per Mondadori Mishima, Romanzi e racconti (I Meridiani, 2004, 2006). |
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