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Cesare Pavese
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Julian BarnesMetroland
Al grido decadente di épater le bourgeois, gli inseparabili Chris e Toni vagano per la Londra dei primi anni Sessanta a caccia di stimoli con cui sbalordire i benpensanti e solleticare i propri surriscaldati sensi di sedicenni. Condividono quasi tutto, la gallomania, la passione per l'arte, il gusto per la battuta fulminante, la smania per le curve femminili e quell'inesauribile fantasticare sulla Vita Vera che certo li aspetta nel futuro: un eden di sesso, libertà e buone letture. Poi però la vita vera arriva - Parigi, il Sessantotto, l'amore, i figli - e non è mai annunciata, e quasi mai riconosciuta, e di rado maiuscola... Un delicato e graffiante romanzo di formazione, opera prima dell'autore di Il senso di una fine. Al professore che lo interroga, Christopher Lloyd ama rispondere «J'habite Metroland», adoperando il nome di una fermata della storica Metropolitan Line di Londra, «meglio di Eastwick, piú esotico di Middlesex», per indicare la sonnacchiosa periferia urbana in cui vive. «Uno abitava in quella zona perché da lí era facile andarsene», osserva Chris, che ad andarsene, insieme all'inseparabile amico Toni Barbarowski, come lui sedicenne, come lui francofilo e arrabbiato, come lui appassionato di arte e ragazze, si prepara con metodo. Nel frattempo i due aspiranti flâneurs, fedeli ai dettami dei loro numi tutelari Baudelaire, Gautier e Nerval, cercano modi casalinghi per épater la bourgeoisie: condurre arditi esperimenti sensoriali alla National Gallery, occhieggiare le donne attraverso un binocolo, elaborare pretenziose teorie esistenziali, farsi gioco di chiunque capiti a tiro, «gli scemi, i capiclasse, gli insegnanti, i genitori, mio fratello e mia sorella, la Terza divisione nord, Molière, Dio, la borghesia e l'uomo della strada», e attendere che cominci la Vita Vera. Chris se la va a cercare, qualche anno piú tardi, a Parigi, con un inutile progetto accademico postlaurea ma, risucchiato nel vortice di Lawrence Durrell e i caffè sui boulevards, il cinema di Bresson e le lenzuola del suo primo amore Annick, quando la Vita Vera gli corre incontro non la riconosce. È la primavera del 1968, ma les événements della rivoluzione studentesca che scuote la città alle fondamenta gli passano accanto inavvertiti, per la riprovazione dell'esule Toni, sempre piú sradicato, sempre piú arrabbiato e sprezzante dei ricconi compiaciuti che uccidono la poesia. Ma che succede quando si cresce un altro po' e la vita vera, quella senza maiuscole fatta di doveri coniugali, mutui e pannolini, comincia sul serio? È allora che muoiono le teorie? E le amicizie? Un romanzo di formazione e insieme una meditazione lieve e delicata sul valore dei legami nella felicissima opera prima, datata 1980 e vincitrice del Somerset Maugham Award 1981, dell'autore di Il senso di una fine. Julian Barnes è nato a Leicester nel 1946. Si è dedicato al giornalismo, scrivendo sul «New Statesman», sul «Sunday Times» e sull'«Observer». Tra le sue opere Einaudi ha in catalogo: Storia del mondo in 10 capitoli e 1/2, Amore, ecc. («Einaudi Tascabili»); Oltremanica, England, England («Supercoralli»), Amore, dieci anni dopo («Coralli» e «Einaudi Tascabili») e Arthur e George («Supercoralli»). Il senso di una fine (pubblicato nel 2012 nei «Supercoralli» e nel 2013 nei «Super ET») è risultato vincitore del piú importante premio letterario di lingua inglese, il Man Booker Prize 2011. Nel 2013 sono usciti, sempre per Einaudi, Livelli di vita (Supercoralli) e il racconto Evermore (Quanti), tratto dalla raccolta Oltremanica; nel 2014, Il pappagallo di Flaubert, nella nuova traduzione di Susanna Basso; nel 2015 Metroland, pubblicato nel 1980 in Inghilterra e vincitore del Somerset Maugham Award.
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