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Uno dei modi migliori per far rivivere il pensiero di un uomo: ricostruire la sua biblioteca.
Marguerite Yourcenar
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Tomaso MontanariVelázquez e il ritratto baroccoFrancis Bacon ha scritto che «da tutti i suoi dipinti traspare quell'emozione che Velázquez deve aver provato, persino in quelle bellissime opere dove le figure hanno una meravigliosa struttura e al tempo stesso la colorazione di un Monet. Si avverte sempre il passaggio dell'ombra della vita». In modi misteriosi quest'ombra si proietta sull'arte europea, e nel cuore stesso del piú sfarzoso, esteriore e mendace ritratto barocco, si insinua come una lama la verità di Velázquez: questo libro ne racconta la storia. PRINICPE ENRICO Dio mi sia testimonio, sono estremamente stanco. «Da molti anni ormai, dal Ritratto di Fraga eseguito nel 1644, tra i volti della corte dipinti da Velázquez mancava quello del re. In una stupefacente lettera spedita l'8 luglio 1653 a Luisa Magdalena de Jesús (una monaca sua intima confidente), è lo stesso Filippo IV a spiegarcene le ragioni: "tra i quadri [inviati al monastero] non c'è un mio ritratto perché sono nove anni che non se n'è fatto nessuno: non ho voglia di sottopormi alla flemma di Velázquez, non solo perché la sua lentezza mi sfinisce, ma anche perché non voglio vedermi invecchiare". [ ] Pochi anni dopo, Filippo dovette cedere alle esigenze di Stato, e Velázquez lo dipinse in due memorabili ritratti a mezzobusto. [ ] Dal fondo di una tela nera ci guarda un viso umanissimo e tristissimo: nessuna insegna regale (nel secondo ritratto il toson d'oro è solo un luccichio giallo), nessuna preoccupazione iconografica, nessuna pietosa finzione nascondono lo smottare della pelle intorno agli occhi, ormai simili a quelli di un grande pesce pescato da troppi giorni. Come ci accade di fronte a un sovrano shakespeariano rimasto solo sul proscenio alla fine della tragedia, sentiamo Filippo IV spiritualmente vicino: la pittura di Velázquez ha colmato ogni distanza di tempo, di mentalità e di ceto facendo risalire in superficie l'essenziale, e cioè l'umanità dolente. Uno scrittore contemporaneo, Lázaro Díaz del Valle, scrisse poeticamente che in queste tele aveva visto "mucha alma, en carne viva": e cioè una grande introspezione psicologica insieme a una strepitosa capacità di catturare e rappresentare la vitalità. In queste quattro parole è contenuto interamente il miracolo della ritrattistica di Velázquez».
Tomaso Montanari (1971) insegna Storia dell'arte moderna all'Università «Federico II» di Napoli. Si è sempre occupato della storia dell'arte del XVII secolo, cercando di rispondere alle domande poste dalle opere con tutti gli strumenti della disciplina: dalla filologia attributiva alla ricerca documentaria, dalla critica delle fonti testuali all'analisi dei significati, a una interpretazione storico-sociale. Per Einaudi ha scritto la postfazione ai due volumi de Le vite de' pittori scultori e architetti moderni di Giovan Pietro Bellori (2009), A cosa serve Michelangelo? (2011), Il Barocco (2012), Costituzione incompiuta (2013, con Alice Leone, Paolo Maddalena e Salvatore Settis), Privati del patrimonio (2015), La libertà di Bernini (2016), con Vincenzo Trione, Contro le mostre (2017) e Velázquez e il ritratto barocco (2018). |
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