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Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire.
Italo Calvino
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Marco Tullio Cicerone,De officiis
Quel che è giusto fare L'esigenza di ricordare, di comparare ieri e oggi si traduce nell'individuazione della distanza e della discontinuità tra passato e presente; ma non si esaurisce nella definizione di modelli di memoria contrappresentistici. Assumendo come dato di fatto il crollo irreversibile che ha travolto le istituzioni della vita pubblica e le trasformazioni dei comportamenti, il De officiis diventa infatti il luogo dell'elaborazione del cambiamento. Nella sua ultima opera Cicerone discute e manipola i capisaldi dell'identità comune, e riconfigura il rapporto tra azioni compiute per il proprio tornaconto e azioni compiute per il bene comune attraverso un intervento che, come abbiamo visto, trova il suo centro nella riflessione condotta sulla giustizia e sulla circolazione di beneficia, che è anche la sezione piú prescrittiva dell'intero trattato. Nella riqualificazione secondo iustitia dello scambio di prestazioni e di controprestazioni egli individua il proprio munus: trasmettere i risultati di questo estremo tentativo di riconfigurazione dei mores ai giovani della città, cui tocca ripartire dalle rovine ancora fumanti dello stato. «Tutti siamo sottoposti alla stessa legge di natura, e per la stessa ragione certamente la legge di natura ci impedirà di fare violenza agli altri uomini. Certamente è assurdo ciò che alcuni affermano, che mentre al padre o al fratello non toglierebbero nulla per il proprio vantaggio, diversa deve essere la considerazione che si ha degli altri concittadini. Costoro stabiliscono di non avere nessuna legge e nessun vincolo sociale per l'utile collettivo con gli altri cittadini; la loro opinione distrugge ogni forma di convivenza all'interno della cittadinanza. Invece, quelli che dicono di tenere in adeguata considerazione i concittadini, ma di negarla del tutto agli stranieri, costoro distruggono la comune società del genere umano, eliminata la quale si estirpano la capacità di fare del bene, la generosità, la bontà, la giustizia; coloro che estirpano tutte queste cose vanno considerati colpevoli di empietà nei confronti degli dèi».
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