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Gustavo ZagrebelskyLiberi serviIl Grande Inquisitore e l'enigma del potere «L'Inquisitore e, con lui, gli inquisitori di ogni tempo e di ogni specie dicono di noi che, per la nostra costituzione psichica, siamo refrattari alla libertà e cosí giustificano - per il nostro bene - l'inquisizione. Per l'Inquisitore, questa è una constatazione. Per noi che leggiamo le sue parole, è una provocazione all'acquiescenza o alla resistenza. Per questo siamo messi di fronte a una scelta che presuppone un'opera di autocoscienza». Dostoevskij tornò da un viaggio a Londra profondamente turbato: invece di cogliervi il brivido luminoso del progresso - erano i giorni della prima Esposizione universale - aveva scoperto che in quella città regnava l'irrimediabile solitudine e la rassegnata disperazione di un'umanità sottomessa. Aveva sperimentato il trauma immedicabile della profezia: affacciatosi sul futuro, aveva passeggiato nel cantiere del mondo d'oggi per ritrarsene spaventato. Questa illuminazione mediante le tenebre avrebbe trovato felice compimento nel capitolo dei Fratelli Karamazov dedicato al Grande Inquisitore. In esso Dostoevskij affronta temi cruciali che riguardano la filosofia morale, la politica, la filosofia della storia e della religione: pagine taglienti di grande letteratura, in grado di scavare nell'animo umano senza schermi o mediazioni. Con lucida passione, questo libro coglie ogni aspetto del celebre testo, inquadrandolo dapprima all'interno dell'opera e della poetica dello scrittore russo, per metterlo poi in relazione con il pensiero politico della modernità, approfondendo infine le tante riflessioni che da esso scaturiscono. All'autore interessano soprattutto gli aspetti legati alla teoria del potere; e nel monologare dell'Inquisitore di fronte al Cristo silenzioso - fino all'enigmatico bacio finale - ritrova numerosi e sbalorditivi agganci con il nostro tempo presente, che per molti aspetti sembra dare compimento al cinico nichilismo dell'Inquisitore: su tutti, la tendenza degli uomini ad accettare di vedersi sottrarre la vera libertà scambiandola per quella misera e obbediente di un apatico conformismo.
Gustavo Zagrebelsky è professore emerito di diritto costituzionale all'Università di Torino. Collabora con il quotidiano «la Repubblica». Ha pubblicato presso Einaudi Il diritto mite (1992), Il «crucifige!» e la democrazia (1995 e 2007), La domanda di giustizia, insieme con Carlo Maria Martini, (2003), Principî e voti (2005), Imparare democrazia (2007) , Intorno alla legge (2009), Sulla lingua del tempo presente (2010) , Giuda (2011), Simboli al potere (2012), Fondata sul lavoro (2013), Fondata sulla cultura (2014) e Liberi servi (2015).
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