Fondare le biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.

Marguerite Yourcenar

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I verbali del mercoledì - Recensione

COSÌ L' EINAUDI DETTAVA LA LINEA

Nel 1990 Norberto Bobbio rievocò su Tuttolibri il rituale delle famose riunioni del mercoledì in casa Einaudi: «Eravamo una ventina di "dotti", un tempo ci chiamavamo scherzosamente "senatori" e ognuno aveva di fronte a sé al proprio posto i libri o i manoscritti da presentare. Giulio era in mezzo ma non presiedeva... Quelle sedute a volte lunghissime, intercalate ma non interrotte da vari generi di conforto, furono per me una utilissima scuola di aggiornamento. Calvino parlava di romanzi, Cases di letteraturae saggistica tedesca, Carena di classici grecie latini, Fossatie Castelnuovo di storia dell' arte. Renato Solmi e Panzieri per alcuni anni, poi Ciafaloni, di problemi economici e politici del giorno... Quando si farà la storia della casa editrice, i verbali di quelle sedute saranno un documento prezioso da molti punti di vista». Già consultabili dagli studiosi, quei Verbali del mercoledì per ora relativi agli anni dal ' 43 al ' 52 escono in volume a cura di Tommaso Munari e con un' ampia, informatissima prefazione di Luisa Mangoni (Einaudi, pagg. 533, euro 40). Ed è proprio la Mangoni, autorevole studiosa della Einaudi, a ricordare quanto siano cicliche, "implacabili e regolari", le polemiche sulla casa editrice e per i più diversi motivi: dal rifiuto iniziale di Se questo è un uomo di Primo Levi, dirottato sulla casa editrice De Silva nel ' 47 e divenuto einaudiano solo negli anni Sessanta, agli attacchi del Pci contro l' antologia di Renato Poggioli, Il fiore del verso russo, che la Einaudi non difese più di tanto mentre arrivò quasi a pubblicare un' altra antologia riparatrice a cura di Bianca Maria Gallinaro Luporini, alimentando l' opinione che la casa editrice fosse troppo legata alla politica culturale di Botteghe Oscure. I verbali ora pubblicati sono solo in minima parte il compendio delle discussioni, anche aspre, intorno ai libri proposti: si mirava piuttostoa riassumere in poche righe e per uso interno il senso di una proposta e, quando c' era, il suo esito. Poi i verbali circolavano e raggiungevano anche consulenti lontani da Torino, come Delio Cantimori che non mancava mai di esprimere il suo parere. Fu Cantimori, come ha di recente ricordato su queste pagine Ernesto Franco, attuale direttore editoriale della Einaudi, a bollare la grande opera di Braudel sul Mediterraneo, come una sorta di "Via col vento" della storiografia. Cantimori si disse contrario anche alla pubblicazione di Adorno ( Minima moralia) di cui Renato Solmi, che la proponeva e l' avrebbe poi realizzata, era stato allievo. Frecciate indirizzò anche a Musil e al suo Uomo senza qualità (lo trovava noioso) sul quale però i pareri favorevoli erano stati diversi. Bobi Bazlen aveva detto che il livello non si discuteva e andava pubbliIL LIBRO "I verbali del mercoledì dal 1943 al 1952" a cura di Tommaso Munari (Einaudi) talia Ginzburg, è che la discussione intorno a un libro non vale di per sé una condanna senza appello. Sollecitare pareri diversi, meglio se contrastanti, era una prassi. Certo, molte proposte cadono, ma in genere si tratta di libri minori o lontani dai gusti einaudiani come il Frankenstein di Mary Shelley. Ad altre segnalazioni, anche cospicue, non si presta la dovuta attenzione: Dante Isella, per esempio, propose di ristampare Le note azzurre di Carlo Dossi, ma la cosa cadde nel vuoto, nonostante un ritorno di Carlo Muscetta sulla questione. Non si fece nulla di un Millennio (la grande collacato ad occhi chiusi, anche se, trattandosi di ben duemila pagine restavano le incognite commerciali. Ma si sa che Einaudi non voleva che alle riunioni si parlasse di soldi. La prima cosa che si apprende leggendo i verbali dei mercoledì, a cui partecipò una sola donna, Nana di classici) dedicato a Carlo Porta. La proposta veniva da Franco Antonicelli. Nei verbali non c' è traccia della scomparsa di Cesare Pavese, che pure a quel tavolo ovale si era seduto fino a pochi giorni prima. È però opinione comune che il verbale fiume delle riunioni del 23 e 24 maggio del 1951 rifletta la volontà comune circa una sorta di rifondazione o ripensamento della Casa editrice e del suo ruolo dopo la scomparsa di Pavese. Apre il dibattito Carlo Muscetta rifacendo la storia della casa editrice che si caratterizza per essere stata antifascista, democratica e laica. Secondo Muscetta, bisogna rifarsi a Gramsci nella linea di una cultura nazionale e popolare, stando attenti a non perdere in organicità. Sarà Felice Balbo ad alludere concretamente a Pavese parlando delle gravi perdite subite dalla Casa editrice. Giulio Bollati propone di analizzare la situazione culturale italiana, oggi in stato di disordine o addirittura di anarchia. Bisogna, aggiunge Bollati, rendere concreta una politica di effettiva direzione culturale, uscendo dalla lotta condotta sul piano della polemica e dell' azione di pura avanguardia. Curiosamente, ma non troppo, il problema del contrasto tra governo della cultura di sinistrae posizioni, diciamo così, di avanguardia sarebbe durato nel tempo. Nel ' 63 la Casa editrice rifiutò il libro inchiesta di Goffredo Fofi sull' immigrazione meridionale a Torino che Raniero Panzieri aveva proposto. Ci furono tre giorni di discussione, poi il libro non si fece e Fofi lo pubblicò da Feltrinelli. Di recente Renato Solmi nella sua autobiografia (Quodlibet, 2007) ha insinuato che forse, alla radice di tutto, c' era un aiuto in danaro venuto alla Einaudi dalla Fiat, il che rendeva sconveniente pubblicare un libro anti-Fiat. La conclusione fu però che Solmi e Panzieri furono di fatto licenziati. A Severino Cesari, molti anni dopo, Einaudi parlò delle due anime della sinistra: quella di governo che voleva gestire la cultura e l' altra che voleva rompere tutto. «Anch' io mi sentivo imbalsamato tra quelli di governo». Il 14 ottobre 1998 Einaudi tenne a Torino una lezione magistrale e la dedicò alle origini della sua casa editrice, nata a Torino nel 1933, quando lui aveva 21 anni. In mente aveva la breve ma cospicua avventura di un altro ragazzo precoce, visto una sola volta nella vita quando di anni ne aveva 14: Piero Gobetti. Il fascismo non aveva tollerato la casa editrice voluta da Gobetti, che in soli due anni aveva pubblicato un centinaio di volumi tra cui Ossi di seppia di Montale, e poi libri di Salvatorelli, Dorso, Nitti, Luigi Einaudi, Ruffini, Sturzo e Gobetti stesso. Quello era il seme, che si sarebbe incrociato più tardi con la lezione di Gramsci. Questi verbali escono a ridosso del centenario di Giulio Einaudi, nato il 2 gennaio del 1912. Non sono un monumento, ma la documentazione talvolta impervia, comunque sempre affascinante di un grande lavoro collettivo che aveva per scopo libri e cultura. In altri termini civiltà: quella civiltà che cominciava dall' eleganza delle copertine. Sarebbe bello portare questi Verbali a Dogliani, dove l' editore è sepolto sotto una lapide su cui sta scritto soltanto "Giulio". - PAOLO MAURI

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